Chi mi conosce sa bene che sono un fanatico dei numeri, mi permettono di avere una misura oggettiva di ciò che mi sta intorno, una misura confrontabile con altre. Questa mia caratteristica, che mi porta a scartabellare Wikipedia per sapere, ad esempio, la distanza del Sistema Solare dal centro della galassia, l’energia sprigionata dall’esplosione del vulcano Krakatoa o anche solo il numero di abitanti di Pizzo Calabro (per la cronaca sono 9263) ha finito con il permeare anche la mia idea di allenamento.
Mi piace infatti programmare in numeri, sulla base delle famose (o famigerate) esperienze degli allenatori del blocco sovietico, giocare con volumi e intensità, calcolando variabili e sperimentando anche alternative più “esotiche”. Però… esiste sempre un però. Come dicevo nello scorso articolo infatti, a volte le percentuali ingabbiano i miei atleti, mi rendo conto siano quasi più al mio servizio, di stesura del programma, che al loro, di allenamento. Che soluzione adottare allora? Semplice, quella dell’autoregolazione. Sì, però… un altro però. Spesso l’autoregolazione, se non si è molto sensibili, porta ad alterare i valori in campo. Quanto carico? Quante ripetizioni faccio? Sono tutte variabili incostanti, difficilmente incasellabili, soprattutto per uno come me che ha la mania, il feticcio, del numero. Che fare?
Scartabellando quello che è il fantastico mondo dell’internet mi sono imbattuto in un blog molto molto interessante e che vi consiglio di visitare: bilancierefondente.it. Lì ho trovato diversi articoli che parlano di un approccio “alternativo” a quello che solitamente si usa in palestra, un approccio basato sulla velocità. Con un piccolo dispositivo da attaccare al bilanciere si possono infatti ottenere dati sull’accelerazione del bilanciere, la sua velocità e la potenza generata nel movimento. Questi numeri potrebbero soddisfare la mia sete di rigore? Forse sì, potrebbero essere dei validi compagni di allenamento, da usare in vari modi:
– calcolare il massimale di un’alzata valutando la velocità di un’alzata sub massimale (come potrete leggere sul blog, esiste una relazione specifica che lega velocità e intensità). Forse però questo è l’uso che mi interessa di meno, vista la complessità di un esercizio non vincolato come potrebbe essere uno squat o uno strappo, in cui le variabili che determinano il successo o meno dell’alzata sono numerose;
– guidare l’allenamento autoregolato usando la velocità come parametro discriminante. Quel dato giorno voglio che il mio atleta carichi il bilanciere fino a che la sua velocità non scenda al di sotto di X, o fare ripetizioni fino a che la velocità non scenda sotto X, dando così una impostazione più matematica, oggettiva e confrontabile al concetto di autoregolazione;
– valutare lo stato fisico di un atleta in maniera “precisa”, valutando le fluttuazioni della velocità ad una data intensità (ricordate l’ipotesi dei bioritmi?)
– infine, ma il discorso è più incentrato sulla pesistica olimpica, usare la velocità per prevedere il transfer di un’alzata complementare sull’esercizio di gara. So che, mediamente, per un tal atleta, la tirata nel suo massimale di strappo ha velocità X, fino a che velocità X-Y le tirate strappo, come esercizio singolo, hanno un transfer appunto sullo strappo? Posso prevedere se una tirata sovramassimale, alla fine di un ciclo di allenamento, possa tradursi in un nuovo record di strappo (abbiamo detto che le variabili sono molte, ma potrebbe rivelarsi un’indicazione utile comunque)?
Ecco un affascinante sistema di autoregolazione che stuzzica non poco la mia fantasia. Funziona? È sufficientemente pratico? Non so dirlo con certezza, ma sono certo che lo proverò e vi darò conto dei risultati.
P.s se qualcuno avesse dubbi riguardanti l’uso di attrezzatura tecnologica come ausilio all’allenamento, ricordo che i coach cinesi di pesistica olimpica sono soliti usare un sistema di videoanalisi molto completo per analizzare le alzate dei loro atleti, che lo stesso Tuchscherer, ideatore del Reactive Training System, è stato beccato ad tracciare le proprie alzate con un diabolico congegno proprio qui a Parma e che la Red Bull ha messo a punto un sistema di analisi per Lolo Jones grazie al quale, valutando il tempo di contatto del piede a terra, si decide il giusto warm up prima di una competizione. Forse la tecnologia ci è amica?
Keep on lifting!